Gianluca Monti - giornalista e comunicatore.

#torneremoincampo

“Una vita insieme a te, di domenica alle tre”.
Inutile negarlo, non è una domenica qualsiasi per nessuno ma men che meno per tutti coloro che in qualche modo la domenica la trascorrono su un campo di calcio. C’è un rituale che per ciascuno di noi è diverso, a seconda di ciò che lo aspetta. Che sia il campo, la panchina, la tribuna, la sala stampa, la sala massaggi, il magazzino, il pullman. La domenica del pallone inizia presto, forse in realtà non ha un inizio vero e proprio perché comincia nei sogni del sabato, che tu sia in ritiro fuori o nel letto di casa.
Comincia quando immagini quel che sarà o semplicemente ripercorri quel che dovrai fare: è un click mentale che credo facciamo tutti, un modo per entrare in partita molte – ma molte – ore prima di quel fischio di inizio. Chi pensa che per i giornalisti non valga lo stesso, si sbaglia di grosso: le partite si preparano, le formazioni si indovinano o si sbagliano e per noi – e per chi gioca a Fantacalcio – fa tutta la differenza del mondo. Provi a immaginare chi possa essere il personaggio da tratteggiare, ripensi a quanto hai prodotto in settimana per trovare il “gancio” giusto per il pezzo che verrà, aspetti di capire quanto ci sarà da scrivere e provi a scorgere dettagli già dal riscaldamento che magari altro ignorano.
Se ci sei dentro, invece, il rito è il pranzo, la riunione tecnica e sai già perfettamente chi mangerà cosa, chi eviterà di fare cosa, chi sdrammatizzerà e chi fa solo finta di ascoltarti se gli parli della partita o di altro perché tanto è già nel suo “mood”.
Lo capisci a pranzo che aria tira, che domenica sarà: almeno ti fai un’idea, che poi viene talvolta stravolta dagli episodi. Però a pranzo o poco dopo già intuisci se quella domenica sarà una di quelle giuste, in cui hai dato tutto, o se l’aria che tira non è delle migliori.
Il pullman di una squadra è rito e silenzio, si va, ci si saluta, si entra nello spogliatoio ed esci a vedere il campo. Sai già se giocherai oppure no, per chi gravita intorno poco cambia. Il lavoro da fare è lo stesso ed è sempre tanto, mentre la squadra va a testare il prato lo spogliatoio brulica. Quello è un momento bellissimo, nel quale chi sta intorno alla squadra appronta tutto quasi come a chiedere poi ai calciatori di fare il massimo dicendogli “vi abbiamo messo nelle condizioni migliori”. È un atto di fede.
Per questo da giornalista ho sempre guardato al riscaldamento, come dicevo prima: una squadra che fa un buon riscaldamento è già dentro la partita, la aggredirà, si “mangerà” l’arbitro durante il riscaldamento e gli avversari dopo il via. Sono quasi le tre…rientri, ti cambi e comincia a darti il “cinque” e le consuete pacche di incitamento. Parla il mister, qualcuno ripete sempre le stesse frasi come un mantra. “Approccio importante”, un classicissimo. In realtà l’aria è sospesa: quei minuti sembra che non passino mai o che volino tanto che sono uguali gli uni agli altri. Lassù si scrive il tabellino, si commentano le scelte degli allenatori, si guardano le coreografie dei tifosi, si “ascolta l’aria” per trarne uno spunto. Siamo pronti, l’arbitro ha chiamato. Entriamo salutando gli avversari, o facendo finta. Il dito sta per andare sulla tastiera. Ci siamo. Non questa domenica, ma presto succederà di nuovo #torneremoincampo
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