Gianluca Monti - giornalista e comunicatore.

Sessant’anni di San Paolo

Sessant’anni ed un giorno: ieri, oggi e domani la casa della passione azzurra è a Fuorigrotta. Stadio San Paolo, capienza attuale intorno ai 52.000 posti. Poca roba rispetto a quel 6 dicembre del 1959 quando l’impianto poteva contenere, in piedi, fino a 875000 spettatori. Siamo ancora tutti qui a chiederci quanto ce n’erano per davvero in più di una circostanza, ad esempio in quella notte del marzo 1989 quando il Napoli eliminò la Juve dalla Coppa Uefa con un gol di Renica al 119′. I dati ufficiali raccontano di 83.089 paganti, quelli “ufficiosi” raccontano di almeno 100.000 persone sugli spalti. Dieci anni prima c’erano 89.992 cuori azzurri per quella maledetta sconfitta con il Perugia (autogol di Ferrario e addio sogni scudetto) mentre il record “europeo” appartiene al primo Napoli-Real Madrid, quando segnarono Francini ed il Buitre.

È cambiata l’affluenza, è cambiato lo stadio nella sua struttura. Certo è molto simile a quando fu costruito e a come lo ha lasciato Attila Sallustro, prima centravanti del Napoli ai tempi del Fascismo e poi primo direttore dello stadio. Si sono aggiunti i sediolini (di recente rinnovati) e la copertura, che è “figlia” del Mondiale ’90 (durante il quale Italia-Argentina fruttò l’incasso più alto di sempre: 6.966.680.000 vecchie lire), si è ridotta pian piano la capienza. Oggi, però, è soprattutto uno stadio silenzioso nel quale, di recente, si sentono addirittura le voci dei calciatori in campo perché le Curve – prima la A e poi la B – hanno scioperato contro il “divieto di tifo” (come lo chiamano gli Ultras) o il “regolamento d’uso dell’impianto” (come lo definisce il club azzurro).

È vietato cambiare posto, vietato introdurre bandiere – a causa delle aste ritenute “contundenti” -, vietato vedere la partita in piedi sui sediolini e finanche andare allo stadio se ci si regge in piedi a malapena: domenica scorsa un tifoso arrivato dal Friuli e suo malgrado infortunato è rimasto fuori dai cancelli perché considerato “pericoloso” a causa delle stampelle che lo aiutavano a camminare. Pene severe per chi sgarra, multe salate e poi il Daspo. C’è chi gradisce il “San Paolo modello San Carlo” e chi non vuole neppure sentire l’accostamento. A Napoli l’attore di teatro che ha portato sul palco il calcio più e meglio di chiunque altro è Peppe Miale, che ha interpretato – tra le altre opere di cui è stato protagonista – “Juve-Napoli 1-3, la presa di Torino”, dal celebre testo di Maurizio De Giovanni. Se non l’avete visto, non sapete cosa vi siete persi. Miale è un “curvaiolo doc”, ha già in tasca il biglietto per Napoli-Genk: “La Curva B è casa mia – spiega – però debbo dire che è molto cambiata nel corso degli ultimi anni, quel tifo genuino di un tempo che ti coinvolgeva è un ricordo: abbiamo assistito a prevaricazioni ed obblighi da parte di alcune frange e non dobbiamo nasconderlo. Capisco che la materia sia controversa e certi divieti appaiano stringenti ma dobbiamo guardare al futuro e nel futuro c’è l’ordine e la pulizia che ho visto per esempio all’Emirates o a Dortmund, dove certo il calore per la squadra di casa non manca”. Chissà se ha ragione, lo scopriremo presto. Intanto, però, le posizioni sono “oltranziste” e nessuno sembra disposto a fare un passo verso l’altro: il rapporto tra la società e la parte “dura e pura” del tifo è ai minimi storici. Lo si evince chiaramente dal profilo FaceBook “La Napoli Bene”, in qualche modo rappresentativo del pensiero “curvaiolo”. La loro ultima grafica recita “Liberi di Tifare” in opposizione al “San Paolo Theater” postato qualche giorno fa: il dibattito continua.

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