Gianluca Monti - giornalista e comunicatore.

A cena da Zeman

Non so se vi è mai capitato di avere un impatto forte, determinante. A me sì: si giocava Campania-Licata, ero piccolo ma piccolo davvero. Papà mi portava al San Paolo a vedere quella squadra che “occupava” lo stadio degli azzurri e che ambiva in qualche modo ad esserne una “succursale. Un giorno  – precisamente il 19 gennaio 1986 – il Campania doveva sfidare il Licata di tale Zeman, allenatore boemo che non diceva nulla a me e men che meno a Bitte, mio padre.

Pronti via, arbitro fischia – direbbe Boskov – e centravanti del Campania già in fuorigioco. Zeman ha messo i suoi difensori a centrocampo, gli ha detto che non si sarebbero dovuti mai spostare da lì ed il nove granata non lo ha capito, o almeno non lo ha capito subito. Zeman è – forse era – così, prendere o lasciare. È un’idea che diventa una pratica. È estremo ma sul punto di diventarlo sempre un po’ meno perché il mondo sta per guardarlo, scoprirlo e lui non può apparire come realmente è. Deve “sporcarsi”, abbassare la linea e provare a vincere rimanendo comunque lo stesso.

Mi è capitato di vivere la stessa sensazione di quel pomeriggio ieri sera a cena – da Krèsios a Telese. Estremo quanto buono, semplicemente diverso. Vincere gli interessa poco, piacere gli piace tanto. Come a Zeman, come quel Licata.

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